Paula e la cucina libanese

Ripetiamolo tutti insieme forte e chiaro: in Libano non esiste il cous cous!

Lo garantisce Paula, nata a Beirut e libanese al 100%.

Di quel calderone che chiamiamo genericamente “Medio Oriente” fanno parte Paesi diversissimi tra loro, e spesso si tende a semplificare facendo riferimento alle loro peculiarità più famose. E’ così che il cous cous, piatto tipico dell’area del Maghreb (la regione nord occidentale dell’Africa, compresa tra il Sahara e la costa mediterranea, di cui fanno parte Mauritania, Marocco, Algeria, Tunisia e Libia) viene erroneamente considerato pietanza comune anche nei Paesi che appartengono invece al Mashreq, zona che si estende dall’Egitto al Libano, comprendendo penisola araba e Palestina. 

Niente cous cous in Libano, quindi.

Ma torniamo alla storia di Paula, che si intreccia inevitabilmente con quella dello Stato in cui è nata, sconvolto da un flusso perpetuo di guerre, invasioni, rivolte e sofferenza. 

“La prima volta che assieme alla mia famiglia ho abbandonato il Libano è stato nel 1978- racconta- siamo stati per tre anni negli Stati Uniti, perché la guerra civile che stava infuriando a Beirut ci ha costretti a metterci al sicuro altrove.

“Sono rientrata nel 1981, ho finito le scuole superiori, ma la situazione politica ci ha costretti a fare nuovamente le valigie, questa volta per spostarci ad Abu Dhabi, dove viveva uno zio, e dove siamo rimasti per un paio d’anni”.

E’ una storia di andate e ritorni quella di Paula. Di allontanamenti forzati da quella terra bellissima ma che non trova pace. 

“Siamo tornati e ripartiti altre volte, e questo non mi ha permesso di seguire gli studi in modo regolare. Mi sono laureata in informatica nel 1992, quando la stabilità del Paese me l’ha consentito”.

Paula lavora per un anno nel campo informatico, poi passa al mondo della pubblicità, fino a quando, per amore, si trasferisce in Italia.

“Sono arrivata in Veneto nel 2000 e il primo impatto è stato una sorpresa. L’Italia che conosciamo all’estero è quasi sempre quella del sud, fatta di calore, sole, mare, buon cibo e grande ospitalità. Al nord il clima e il paesaggio erano molto diversi da come li immaginavo, e anche la vita sociale appariva limitata rispetto a quella libanese”.

L’integrazione di Paula è difficile. 

“Conoscevo l’inglese ma non l’italiano. Quello della lingua è stato un grande ostacolo da superare, ci ho messo almeno due anni per raggiungere una buona dimestichezza comunicativa.

Mi ha aiutato molto trovare un lavoro come traduttrice, ma anche diventare mamma. Quando mia figlia ha iniziato a frequentare il nido ho cominciato a crearmi delle amicizie tra i genitori dei suoi compagni di scuola”.

La strada però è ancora in salita.

“Ho sperimentato sulla mia pelle cosa fosse il razzismo. Molte persone si dimostravano inizialmente affabili, sia con me che con mia figlia, ma appena scoprivano che non ero italiana cambiavano completamente atteggiamento. Era qualcosa di incomprensibile per me. Non capivo davvero come si potesse emarginare qualcuno solamente perché nato in un luogo diverso. 

Il dialetto locale poi si è rivelata un’altra sfida molto ardua. E’ stato praticamente come dover iniziare a comprendere una seconda lingua totalmente diversa dall’italiano”.

Mentre cerca di costruire la sua nuova vita italiana, Paula non dimentica il “suo” Libano. Almeno una volta all’anno porta la famiglia a Beirut, oppure sono i parenti libanesi a fare loro visita in Italia. 

“Mio marito e i miei figli amano molto il Libano e la sua cucina. Ogni volta che andavamo a Beirut portavo con me in Italia pane, spezie e tutti quegli ingredienti difficili da reperire in Italia.

Cucinare mi è sempre piaciuto, ho imparato guardando mia madre, anche se lei non era molto precisa e nel replicare le sue ricette ho dovuto imparare ad “aggiustare” qualcosina qui e là.

Paula inizia a condividere la cucina libanese non solo con la sua famiglia, ma anche con gli amici. 

“Un giorno un amico mi ha proposto di preparare una cena libanese. Gli ospiti sarebbero stati ottanta. Non avevo mai cucinato per così tante persone ma mi sono buttata con entusiasmo e grazie anche ad una persona che mi ha supportata in cucina, la cena è stata un successo”.

Ho iniziato a pensare che mi sarebbe piaciuto tenere dei corsi, e una cooperativa mi ha messo a disposizione gli spazi per poterlo fare. Tengo due corsi all’anno e gli iscritti sono sempre tantissimi”.

Paula insegna a preparare i piatti tipici della tradizione libanese, come l’hummus, una crema di ceci e tahini (una salsa a base di sesamo tostato). All’inizio l’hummus libanese può apparire molto simile ad altri tipi di hummus del Medio Oriente, ma da un esame più attento si nota che la sua consistenza e la sua presentazione variano leggermente. L’hummus libanese tende ad essere una miscela più sottile, con più tahini, e con maggiore enfasi sui ceci che non su spezie extra come aglio, peperoni rossi o cumino che possono sopraffare il piatto. I ceci tendono anche a essere cotti più a lungo e macinati molto più fini, quindi la consistenza si rivela incredibilmente setosa. Nonostante le differenze minori, l’hummus libanese viene ancora presentato in una ciotola, con abbondante olio d’oliva, e mangiato con pezzi di pane pita o verdure.

Altro piatto tipico è il Tabbouleh, un’insalata di pomodori accompagnati dal bulgur (grano spezzato) e conditi con prezzemolo, menta, olio e succo di limone. Nella ricetta libanese il prezzemolo è predominante, tanto da rendere il piatto prevalentemente verde alla vista. 

“Cucinare per me è qualcosa di estremamente rilassante. Dopo una giornata di lavoro, mi metto ai fornelli e dimentico tutto lo stress. Il piacere più grande è quello di poter provare e far provare cose nuove”.

Regola aurea: non cambiare la ricetta.

“Negli ultimi anni in Italia sono aumentati i ristoranti che offrono cucina libanese, ma moltissime ricette vengono modificate per rendere il gusto delle pietanze più simile a quello italiano. In questo modo si perde quella che è l’autenticità del piatto. Gli ingredienti non vanno tolti se vogliamo che il risultato sia fedele, anche se si tratta di ingredienti solitamente un po’ difficili da digerire per chi non è abituato, come l’aglio, la cipolla o alcune spezie. Mi rifiuto categoricamente di toglierli, perché il piatto non sarebbe più lo stesso.

Quello che mi piacerebbe fare è far conoscere agli italiani cultura e tradizioni del mio Paese attraverso il cibo. 

La cucina libanese segue le basi della dieta mediterranea e per questo è molto varia e molto sana, visto il largo uso di verdure è perfettamente adatta anche vegani e vegetariani. Personalmente la definirei una cucina davvero celestiale e consiglio a tutti di provarla almeno una volta”.

Dove? 

Ovviamente, da Pulk!

 

Alice Sommavilla, n.8, L’Isola che c’è per Pulk



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