Lucia di Polline Fiori

In principio fu l’ex ministro dell’economia Padoa-Schioppa, che definì i giovani italiani dei “bamboccioni”; a fargli eco Elsa Fornero, che li accusò di essere “choosy”, ovvero troppo schizzinosi e refrattari a rimboccarsi le maniche per affrontare il mondo del lavoro. Un’altra indimenticabile esternazione è quella dell’ex ministro Poletti, che interpellato sulla pericolosa fuga dei giovani all’estero, rispose con soddisfazione che “Certi è davvero meglio non averli tra i piedi”.

Non sorprende quindi che negli ultimi dieci anni, siano stati circa 250mila i giovani tra i 15 e i 34 anni ad aver lasciato l’Italia.

Ma qualcuno ritorna. E tutto quello che il belpaese dovrebbe fare, è ringraziarlo. Perché esperienze e competenze acquisite altrove, sono una risorsa che apporta un valore aggiunto inestimabile alla nostra realtà lavorativa.

Lucia, cremonese, classe 1992, è un’italiana “di ritorno”. Una ragazza giovanissima che ha collezionato un bagaglio di conoscenze umane e professionali invidiabile.

Conseguita la maturità classica si iscrive alla facoltà di lingue orientali di Venezia, dove sceglie di approfondire lo studio del giapponese. Dopo la laurea triennale e diversi viaggi nel Paese del Sol levante, si trasferisce a Parigi per frequentare un corso di laurea magistrale dedicato alla lingua che tanto la appassiona.

“Avevo previsto di fermarmi a Parigi per gli anni della laurea magistrale ma ho finito per rimanerci molto di più. Da un lato la città offre molteplici stimoli culturali che desideravo cogliere, dall’altro, lo stato francese viene incontro ai giovani con una serie di aiuti e sovvenzioni che permettono di vivere in modo dignitoso anche se non si ha un lavoro fisso”.

Dopo due anni in una casa editrice, dove si occupa di una rivista mensile sulla cultura giapponese, Lucia sente il bisogno di cambiare e buttarsi in una nuova avventura.

Sceglie di dedicarsi allo studio della storia dell’arte.

Dopo un anno di formazione presso il Conservatorio nazionale arti e mestieri, ottiene la licenza per svolgere la professione di guida turistica.

La pandemia la fa rallentare ma non fermare: non potendo accompagnare i turisti di persona, organizza delle visite guidate e delle conferenze online.

Assieme alle esperienze lavorative arrivano anche le consapevolezze:

“Ho capito piano piano di non possedere un’indole impiegatizia. Mi piace gestire il mio lavoro in autonomia, anche se spesso comporta un carico maggiore di responsabilità.

Sono sempre stata molto sensibile al tema della tutela ambientale, ma la mia formazione non è stata improntata allo studio delle scienze naturali”.

Come si passa dalla storia dell’arte ai fiori?

Attraverso “Désirée”, il caffè fioreria situato al numero 5 di Rue de la Folie Méricourt, nell’11esimo arrondissement.

“Frequentando questo locale, che offre i servizi di una caffetteria e quelli di una fioreria nello stesso luogo, mi sono incuriosita e appassionata al mondo dei fiori ma soprattutto al tema della sostenibilità dell’industria dei fiori recisi.

Ho iniziato a leggere e a documentarmi, fino a quando ho deciso di fare un’esperienza di formazione presso una flower farm in Normandia.

Ho seguito uno stage anche presso un fiorista “tradizionale”, che mi ha permesso di toccare con mano degli elementi che non mi sono piaciuti: uno su tutti lo smodato uso della plastica.

Il lavoro con i fiori è stimolante, creativo, ma ad affascinarmi è stata la scoperta del fatto che esistesse un metodo di lavoro che può rendere un fiore non solo bello, ma anche buono, nel senso di meno impattante per l’ambiente”.

All’inizio del 2022 rientra in Italia e si stabilisce a Trento, dove comincia a darsi da fare per trasformare in una realtà strutturata tutte le conoscenze e le competenze che ha acquisito in Francia nell’ambito della coltivazione sostenibile dei fiori.

“Non mi piaceva molto l’idea di un negozio come ce ne sono tanti, ho preferito creare un laboratorio, e lo spazio Virgolette mi ha messo a disposizione il luogo dove poter lavorare. Si tratta di uno spazio in  condivisione, dove oltre a Polline, il mio progetto, trovano spazio molte altre realtà. L’idea di lavorare all’interno di uno spazio comune mi è piaciuta molto, incentiva la collaborazione, è qualcosa che guarda al futuro e crea una rete virtuosa di integrazione e contaminazione.

Già prima di trasferirmi avevo iniziato ad entrare in contatto con diversi esponenti trentini di Slow Flowers, una rete che promuove l’arte floreale etica, eco-sostenibile e condivisa.

E’ questo il valore aggiunto che so di poter dare ai miei fiori nel momento in cui passano dalle mie mani a quelle del cliente: al contrario delle fiorerie tradizionali, il metodo che seguo mi permette di sapere, e far sapere, chi ha coltivato quei fiori e soprattutto in che modo”.

Ma che cos’è un fiore sostenibile?

“Innanzitutto è un fiore locale, e per locale io mi riferisco ad un fiore cresciuto e coltivato sul territorio del Trentino Alto Adige, cosa che permette un’ottimizzazione dei trasporti; in secondo luogo è un fiore stagionale, cresciuto in una serra non riscaldata o in un campo libero secondo i ritmi dettati dal calendario; è un fiore che disintossica il suolo in cui cresce, perché la sua produzione è biologica e non vengono utilizzati prodotti fitosanitari; è prodotto in quantità minori rispetto a quelli industriali, proprio per ridurre l’impatto ambientale, e confezionato senza l’utilizzo di plastica. L’estetica delle composizioni è minimalista, il che inizialmente può farle sembrare poco spettacolari o poco glamour, soprattutto in un periodo in cui la ricerca di una perfezione data da standard impossibili e inverosimili sta diventando un’ossessione.

Quello che offro io invece sono fiori in tutta la loro bellezza naturale”.

Polline effettua vendita al dettaglio, realizzazione di composizioni e decorazioni per eventi, ma anche workshop durante i quali chiunque fosse interessato, può imparare che esistono fiori recisi “buoni”, come comporli e come fare scelte sempre più etiche e consapevoli.

 

Alice Sommavilla, n. 9, L’Isola che c’è per Pulk

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