Martina di Tulip Texile Art

Le storie si possono scrivere, leggere, ascoltare, raccontare, inventare e… indossare.

Indossare una storia. Vi sembra impossibile? Continuate a leggere e ci penserà Martina a dimostrare che vi sbagliate.

Per lei tutto comincia sui banchi dell’istituto d’arte, dove insegue la sua passione per il disegno e asseconda la sua fantasia che la porta, a soli quindici anni, a realizzare e vendere nei mercatini le sue creazioni.

“Dipingevo biglietti di auguri, creavo collane o oggetti di creta- racconta Martina- non mi sono mai sentita un’artista ma piuttosto una creativa. Una sola forma d’arte mi sembrava limitante, avevo bisogno di poter esplorare e sperimentare le mie idee attraverso tutte le forme di creazione possibili”.

È il 2003 quando lascia l’Italia per trasferirsi in Indonesia, dove vive per quattro anni, assieme al suo compagno.

“Per chi ama l’artigianato, l’Indonesia è una fonte di stimoli ed ispirazioni continua. Mossa dalla curiosità ho cominciato a gironzolare per i mercati tradizionali, prendendo spunto da tutto quello che vedevo, e senza che quasi me ne rendessi conto, ho posto le basi di quello che sarebbe diventato il mio progetto: non limitarmi a produrre qualcosa, ma imprimere il mio gusto, e di conseguenza una parte di me stessa, alle cose che avrei creato”

Questa nebula che sta prendendo forma oggi si chiama Tulip ed è un progetto ben strutturato di cui avremo modo di parlare tra poco. Ora lasciamoci trasportare ancora un po’ in giro per il mondo da Martina.

“Ripesca” la sua passione per il disegno, acquista quei tessuti particolari che colpiscono la sua attenzione nei mercati locali, e inizia a dipingerli.

“Ho iniziato creando dei pattern grafici (un pattern è un motivo, un disegno, una fantasia o un’immagine, ripetuto secondo uno schema preciso e ordinato). Non mi sono mai affidata a metodi come la stampa o la tintura, ma ogni pezzo è stato, e continua ad essere, dipinto a mano da me, utilizzando pennelli e colori appositi”

La creatività di Martina non si esaurisce qui, anzi. Ogni cosa diventa spunto per moltiplicare le sue idee e dare vita a nuove creazioni.

“Oltre a dipingere i tessuti per trasformarli in vestiti, cuscini, pezzi di arredamento e molto altro, ho pensato di inserire nei miei lavori dei tocchi etnici, usando materiali e dettagli legati alle tradizioni dei popoli che incontro durante i miei viaggi. L’Asia è senz’altro un luogo pieno di ispirazioni, anche grazie alle molte tradizioni tessili e artigianali, ma ci sono anche altri luoghi dove la produzione è interessante e vivace. Da qui è nata un’altra idea, possiamo dire il ‘secondo step’ del mio progetto: quella di instaurare delle collaborazioni con gli artigiani locali. Una di quelle che ricordo con più soddisfazione è stata con un artigiano di Marrakech, che ha utilizzato i miei tessuti per creare le tipiche babouche (scarpe dalla forma piatta e la punta allungata, che ricordano una pantofola, ancora oggi indossate in Marocco sia dagli uomini che dalle donne)”

Il progetto creativo smette di essere solo questo per trasformarsi in un’autentica commistione artistico-culturale.

“Nel 2019 sono stata in Cina. Anziché i luoghi del turismo classico, il mio itinerario ha avuto come meta una serie di villaggi abitati da minoranze etniche. In uno in particolare, gli abitanti autoproducono dei tessuti di lino, tinto con l’indaco (pianta colorante dai toni blu-violacei) che coltivano nei loro campi. In Europa la produzione di indaco organico è praticamente nulla, e questo colore viene sempre riprodotto con derivati da sintesi chimica, per questo, quando ho assistito a questa loro tradizione sono rimasta affascinata e ho chiesto alla comunità di poter acquistare alcune delle loro stoffe.

“La cosa buffa è stata lo stupore degli autoctoni di fronte alla mia richiesta: non immaginavano certo che un procedimento che per loro è da moltissimo tempo la normalità, per noi occidentali rappresentasse qualcosa di autenticamente straordinario. Questi episodi sono il valore aggiunto che mi permette di instaurare un rapporto con gli abitanti del luogo, dandomi la possibilità di scoprire e condividere il loro sapere”.

Nel 2020 Martina aveva in programma un viaggio in India, ma la pandemia l’ha costretta a rinunciare. Rinunciare a partire, s’intende, perché di rinunciare ai suoi progetti, non aveva nessuna intenzione.

“Sono riuscita a mettermi in contatto con una piccola azienda tutta al femminile di Jaipur, che si dedica alla tecnica del Blockprint su tessuto (Antico metodo decorativo in cui la stampa viene eseguita con blocchi di legno). Ho inviato i miei disegni e sono stati realizzati dei bellissimi lavori, tra i quali il più particolare credo sia il Khanta, una delle tecniche tessili più rappresentative dell’India. La parola bengali Kantha significa infatti “ricamo a trapunta”, o, in sanscrito, avanzo di stoffa. Questa tecnica riutilizza appunto pezzi di stoffa, fili avanzati e frammenti, per trasformarli in nuove splendide creazioni. Sovrapponendo diversi strati di tessuto si ottiene uno spessore maggiore perfetto per realizzare non solo coperte ma anche giacche e altri indumenti che necessitano di più struttura”.

È stato il 2014 l’anno che per Martina ha rappresentato un punto di arrivo e contemporaneamente un nuovo inizio.

“Ho aperto ‘Tulip’, il mio laboratorio a Trento, con tanto entusiasmo e mille dubbi. Mi domandavo se avrebbe funzionato, per sei anni ho mantenuto il mio lavoro principale come dipendente presso uno studio dentistico, la sera quando tornavo a casa mi mettevo a lavorare in laboratorio fino a tardi, spesso cenavo direttamente lì e poi nei weekend giravo per tutto il nord Italia per vendere le mie creazioni nei mercatini. È stato faticoso, ma ero talmente determinata ed entusiasta che non ho mai pensato di mollare”

I risultati, piano piano, arrivano. Nel 2019 Martina prende una decisione: licenziarsi e dedicarsi completamente a Tulip.

“Con l’aumento delle vendite e delle richieste è aumentato anche il carico di lavoro, che per essere di qualità, richiede tempo. Per esempio, ogni pezzo, dopo averlo dipinto, deve essere accuratamente stirato per fissare il colore in modo che eventuali lavaggi non lo sbiadiscano. Il mio compagno mi aiuta molto, anche se le idee sono sempre tantissime e vorrei avere più tempo per sviluppare nuovi progetti”.

Ma da dove viene l’idea di chiamare il progetto Tulip?

“Quando andavo a scuola avevo l’abitudine di disegnare la forma di un tulipano. Era qualcosa che mi veniva spontaneo e nel corso degli anni l’ho riprodotta in tutti i modi, fino a farne il mio segno distintivo. È diventato il mio simbolo e da allora mi accompagna e mi rappresenta”.

E ora rispondiamo alla domanda iniziale: Martina, è possibile indossare una storia?

“Assolutamente sì! La storia delle stoffe, quella che sta dietro ad ogni pezzo realizzato, è il valore aggiunto di un capo. Il canale di comunicazione che uso per comunicare con i miei clienti è Instagram: attraverso questo strumento li porto con me, li rendo partecipi di quello che scopro, di quello che acquisto e realizzo. Cerco di essere autentica, spontanea, e credo che le persone vedano in me una persona ‘vera’, più entusiasta di condividere le mie avventure che di dedicarmi al mero marketing. Chi acquista una mia creazione si porta a casa non solo un pezzo unico, ma anche un pezzetto del viaggio che ho condiviso con loro, e la sua storia”.

Alice Sommavilla, n.17, per la Rubrica L’isola che c’è di Pulk

 

 

Indietro
Indietro

Diletta e le sue Pianelle

Avanti
Avanti

Nicolò, Mattia e Federico di La Taola